KIERKEGAARD – IL PENSATORE OGGETTIVO

di STEFANIA ROMITO

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L’originalità del pensiero di Kierkegaard sta nella rivendicazione della concretezza dell’esistenza, della irriducibilità di ogni singolo individuo alle teorizzazioni astratte di qualunque concezione filosofica.

Contrapponendosi con decisione al sistema hegeliano, Kierkegaard era del parere che l’uomo reale non si può ridurre a un concetto. L’intuizione che la categoria fondante della filosofia deve essere l’individuo nella sua singolarità portò Kierkegaard a essere considerato un “pensatore soggettivo”. Egli volle fare della sua esistenza la parte essenziale del suo messaggio filosofico.

Studiò teologia, ma non divenne mia pastore. Si innamorò, ma ruppe il fidanzamento in vista del matrimonio. Passò la vita a scrivere, ma non accettò mai di essere uno scrittore.

Il rifiuto di ogni scelta, qualunque essa fosse, di ogni “inquadramento” esistenziale, fu la conseguenza di una vita che non volle mai uscire dal campo di una continua possibilità. In un certo senso si può affermare che Kierkegaard rifiutò la maturità intesa come il passaggio dalle infinite possibilità della giovinezza alla concreta determinazione della vita adulta. Ossia, rifiutò di dover scegliere, preferendo vivere in una perenne adolescenza e di soffrire per sempre le tormentose indecisioni tipiche di questa età.

In questo stato di sospensione tutto rimane volutamente incerto, allo stato potenziale. Il suo sistematico “non scegliere” fece di lui uno straniero a se stesso.

Le riflessioni di Kierkegaard si concentrarono intorno a fatti minuti ma investiti di significati sempre più profondi. Come epitaffio Kierkegaard scelse queste due semplici parole: Quel singolo”. E quando scriveva si rivolgeva a “quel lettore”.

Nel 1837 conobbe Regine Olsen e se ne innamorò, ricambiato. Dopo meno di un anno, senza alcun motivo specifico, ruppe il fidanzamento per seguire la sua vocazione di vita solitaria. Il filosofo, però, continuò ad amare Regine avvolgendola di un alone mitico-leggendario. Tutte le sfumature di una situazione psichica piuttosto complessa riaffiorano nelle opere di Kierkegaard. Da una parte ammetteva forti sensi di colpa per la sua scelta (ossia per “il rifiuto di scegliere”), dall’altra non rinunciò mai all’idea che alla fine la vita gli avrebbe restituito, attraverso vie imperscrutabili, il suo amore perduto.